Melodic Intonation Therapy - Stato dell'arte e prospettive future

Dalla rivista Musica&terapia n. 37, Gennaio 2018

L’afasia è un disturbo acquisito di produzione e comprensione del linguaggio caratterizzato dalla perdita della capacità di tradurre le rappresentazioni mentali in linguaggio verbale e viceversa (Damasio 1992).
Si verifica tipicamente a seguito di ictus o di traumi cranici (WHO 2014). L’afasia si può sviluppare in varie forme in base al tipo di lesione cerebrale che interessa il soggetto.
Vi sono afasie tipicamente di comprensione, dove la produzione spontanea del soggetto risulta conservata, anche se la maggior parte delle volte risulta poco comprensibile, per questa caratteristica prende anche il nome di afasia fluente. Un altro tipo di afasia è quella di produzione in cui il soggetto riesce a comprendere buona parte di quello che gli viene detto ma non è in grado di formulare una risposta adeguata, anche il linguaggio spontaneo è compromesso;
in questo caso si può parlare anche di afasia non-fluente. Nella peggiore delle ipotesi il paziente potrebbe non essere più in grado né di produrre un eloquio comprensibile, né di comprendere, in questo caso si parla di afasia globale (Ladavas e Berti 2010). La riabilitazione dell’afasia è una sfida che si può superare applicando alla riabilitazione lo stimolo sonoro musicale. Tra le tecniche a disposizione del musicoterapista per affrontare l’afasia non-fluente possiamo trovare la Melodic Intonation Therapy, metodo al centro della trattazione di questo articolo.

La Melodic Intonation Therapy (da questo momento in poi indicata con il suo acronimo, MIT) è un programma intensivo strutturato in modo gerarchico (Albert at al. 1973) riconosciuto dall’American Association of Neurology come terapia per la riabilitazione del linguaggio (AAN 1994) in cui viene utilizzato il canto per esagerare il normale contenuto melodico del discorso. L’idea di base di questa tecnica risiede nell’osservazione che in alcuni pazienti con afasia (tipicamente afasia non-fluente grave con comprensione risparmiata) il canto svolgerebbe una funzione facilitante per l’espressione (Van De Sandt-Koenderman et al. 2016). La versione originale fu pensata per il coinvolgimento dell’emisfero destro, conservato nei pazienti con afasia, e ciò sarebbe possibile grazie alle modulazioni dell’intonazione e della prosodia delle parole trattate, caratteristiche che sono elaborate tipicamente dall’emisfero destro (Albert et al. 1973); in questo modo, quindi, vi potrebbe essere un passaggio delle capacità linguistiche dall’emisfero danneggiato alle sue aree omologhe dell’emisfero sano (Sparks et al. 1974). La MIT non consiste solo nell’intonazione melodica degli item (le frasi previste dal protocollo), questo esercizio vocale viene accompagnato dal costante tapping della mano sinistra del paziente al ritmo di un battito a sillaba (Albert et al. 1973), questo per andare a stimolare alcune delle aree sensomotorie dell’emisfero destro che controllerebbero i movimenti della mano e della bocca, congiuntamente (Schlaug et al. 2008). Essendo fondata su un principio gerarchico, la MIT è composta da diversi livelli che vanno dal più semplice al più complesso; all’interno di questi livelli l’azione del terapista verrà modulata in base alle esigenze del soggetto per meglio raggiungere l’obiettivo prefissato in fase di valutazione (Van De Sandt-Koenderman et al. 2016).

La Melodic Intonation Therapy è nata come tecnica per la riabilitazione della popolazione americana (Albert et al. 1973) ma è stata applicata, con i dovuti accorgimenti, a diverse lingue del mondo come, ad esempio, il francese (Van Eeckhout’s et al. 1995, Zumbansen et al. 2014b), l’italiano (Cortese et al. 2015), il persiano (Bonakdarpour et al. 2003) e il giapponese (Tabei et al. 2016).

L’ipotesi dell’emisfero destro presentata inizialmente da Albert ed i suoi colleghi (1973) è stata confermata da molte ricerche di neuroimaging con studi TC (Tomografia Computerizzata) (Naeser et al. 1985); fMRI (Risonanza Magnetica Funzionale) (Schlaug et al. 2008); DTI (Imaging con Tensore di Diffusione) (Schlaug et al. 2009);
e tDCS (Stimolazione Transcranica a Corrente Diretta) (Vines et al. 2011) ma altre hanno riscontrato un’attivazione delle aree perilesionali sinistre che si sono salvate dall’evento dannoso, aprendo la strada verso una nuova ipotesi di modulazione cerebrale (Belin et al. 1996, Breier et al.2010). Una possibile spiegazione per questi risultati contrastanti può risiedere nelle caratteristiche intrinseche del danno cerebrale, è plausibile, infatti, che pazienti con danni estesi all’emisfero sinistro mostrino maggior attivazione nell’emisfero destro come meccanismo compensatorio, mentre altri, con danni minori, avranno un’attivazione delle aree perilesionali dell’emisfero dominante per il linguaggio (Al-Janabi et al. 2014, Zumbansen et al. 2014b). Belin et al. (1996) sostengono, comunque, che l’eventuale attivazione dell’emisfero destro possa riflettere un meccanismo compensatorio maladattivo, diminuendo le possibilità di recupero del paziente.

La peculiarità della MIT risiede nel contributo che danno le sue diverse componenti. Come abbiamo già visto questa tecnica si avvale di diverse variabili nel processo riabilitativo, stiamo parlando di ritmo, intonazione e movimento. Quale sia il contributo specifico di ognuna di queste non è ancora chiaro; per alcuni studiosi la componente chiave della MIT risiede nel ritmo, senza dare nessun tipo di merito all’intonazione (Belin et al. 1996); per altri, invece, è l’intonazione, perché consentirebbe al paziente di produrre le parole ad una velocità diversa rispetto al parlato, più idonea alle sue competenze residue (Schlaug et al. 2008). In altri studi ancora le evidenze hanno portato a concludere che il fattore cruciale sia il canto sincrono, che fornirebbe al paziente un modello audio-visivo (Racette et al. 2006); infine, l’ultima ipotesi è che sia il tapping con la mano sinistra il più importante in quanto correlato all’attivazione di aree cerebrali adibite al controllo sia dei movimenti della bocca che di quelli della mano (Schlaug et al. 2008), o, alternativamente, che il tapping serva come metronomo facilitando di conseguenza la performance del soggetto attraverso diversi meccanismi come, ad esempio, l’anticipazione ritmica (Lahav et al. 2007).

Nella riabilitazione post stroke bisogna porre particolare attenzione alla tempistica di intervento, ogni fase che segue l’evento ha delle peculiarità che devono essere tenute ben presenti e che possono modulare l’efficienza della tecnica sulla plasticità neurale e quindi sulla riorganizzazione cerebrale del paziente. Van Der Meulen et al. si sono impegnati per indagare questo aspetto effettuando due studi randomizzati e controllati con pazienti afasici in fase sub-acuta prima (Van Der Meulen et al. 2014) e cronica poi (Van Der Meulen et al. 2016). I risultati del primo studio hanno mostrato miglioramenti più significativi in pazienti subacuti che hanno iniziato il trattamento 2 mesi dopo l’ictus, rispetto ad altri pazienti, sempre subacuti, che però hanno iniziato il trattamento a 3 mesi dall’ictus. Per quanto riguarda il confronto tra fase cronica e subacuta, gli autori non si sono sbilanciati nelle loro conclusioni, avendo ottenuto risultati non significativi.

La MIT può essere definita una pratica intensiva in quanto necessita di sedute ad alta frequenza settimanale anche se brevi (45 minuti), per un periodo di tempo che può andare dalle 3 alle 6 settimane (AAN 1994). Molti studi si sono impegnati a dare prova dell’efficacia dell’intensità della MIT ed infatti in uno studio olandese del 2014 hanno dimostrato come una maggiore intensità di trattamento porti ad una sua maggiore efficacia (Van Der Meulen et al. 2014).

La MIT è stata ideata per migliorare il linguaggio spontaneo ma utilizza come veicolo delle frasi formate da espressioni quotidiane in quanto tipicamente conservate nell’afasia non-fluente. È ancora da chiarire, comunque, come l’allenamento su materiale “stereotipato” possa portare ad effetti generalizzabili anche al linguaggio spontaneo. Ciò che viene raccomandato quando si studiano gli effetti della MIT sul linguaggio spontaneo è indagare la generalizzazione dell’effetto a materiale non trattato durante le sedute (Zumbansen et al. 2014a). In altre parole, la domanda che ci si pone è se i benefici della MIT possano essere fruibili nella comunicazione quotidiana (effetto indiretto) oppure se siano strettamente legati agli item utilizzati durante la terapia (effetto diretto) o, ancora, se l’uso nella vita di tutti i giorni degli item trattati sia la meta migliore che si possa raggiungere o se possa essere una base su cui porre un futuro miglioramento del linguaggio spontaneo (Van Der Meulen et al. 2012). Alcuni studi non hanno trovato un effetto indiretto e quindi un miglioramento dei soli item trattati durante la seduta (Sthal et al. 2013); altri, invece, lo hanno trovato (Schlaug et al. 2008), con dei miglioramenti ulteriori nella fluenza del linguaggio (Zumbansen et al. 2014b). Gli studi iniziali hanno riportato, inoltre, che i benefici della MIT possono essere generalizzabili anche alle componenti della comprensione (Sparks et al. 1974), ma ciò non è stato confermato in studi molto più recenti, come quello di Van Der Meulen (2016) in cui i pazienti non mostravano nessun effetto sulla comprensione del linguaggio dopo l’applicazione della MIT.

Come tutte le tecniche riabilitative la MIT può avere effetti a breve o lungo termine; anche in questo caso le opinioni degli studiosi sono discordanti. In uno studio di Schaulag (2008), infatti, i pazienti sottoposti a MIT presentavano miglioramenti che duravano fino a 3 mesi, mentre i pazienti di un altro studio (Van Der Meulen et al. 2016) non confermano questa ipotesi.

All’interno di alcune fasi della Melodic Intonation Therapy il terapista si avvarrà dello sprechgesang: una tecnica di produzione vocale che presenta le stesse caratteristiche ritmiche della melodia ma che vede l’introduzione di un’intonazione più variabile, più simile al parlato che al cantato; si trova, a pieno titolo, tra il cantato ed il parlato (Zumbansen et al. 2014a).

La tecnica nel dettaglio

Le frasi utilizzate nelle sedute della MIT, come abbiamo già visto, fanno parte delle espressioni quotidiane e vengono intonate su una coppia di note che si diversificano per l’altezza del suono: una sarà intonata con frequenze basse e l’altra con frequenze alte. Le caratteristiche dell’intonazione devono seguire in qualche modo la normale prosodia del discorso per avvicinarvisi il più possibile. In questo modo sarà possibile ottenere un’esagerazione della pronuncia dell’item andando a facilitare la performance del paziente. L’altra componente fondamentale della terapia è il tapping della mano sinistra ad ogni sillaba, costante durante tutte le sedute e gestito dal terapista per la maggior parte del training (Zumbansen et al. 2014a). Questo metodo presenta dei criteri di inclusione [Tab. 1] che riguardano le caratteristiche che deve avere il soggetto per ottenere il miglior risultato dall’applicazione della MIT. I criteri sono: afasia non-fluente, deficit nell’articolazione della parola, scarsa ripetizione, comprensione orale da moderata e buona, manualità destra, nessun tipo di deficit uditivo e psichiatrico precedente (Van de Sandt-Koenderman et al. 2016).


Tabella 1 Criteri inclusione MIT. (Van de Sandt-Koenderman 2016).

CRITERI DI INCLUSIONE

1

Afasia non-fluente

2.

Deficit nell’articolazione della parola

3.

Scarsa ripetizione

4.

Comprensione orale da moderata a buona

5.

Manualità destra

6.

Nessun deficit uditivo

7.

Nessun deficit psichiatrico

 

Per ogni livello della MIT sono previste 12-20 frasi che aumentano di complessità con il susseguirsi del tempo; gli item dovrebbero essere semanticamente correlati ed adatti alle competenze e conoscenze del soggetto.

Si parte da un primo livello in cui la difficoltà è molto bassa in quanto non sono presenti componenti verbali. In questa fase il paziente viene informato sulle metodiche di svolgimento del training e viene addestrato all’intonazione. Il terapista intona il pattern melodico a bocca chiusa ed aiuta il paziente a muovere a tempo la mano.

Quando il soggetto ha preso confidenza con la tecnica si può passare al secondo livello in cui la difficoltà tende a salire; le frasi arrivano ad un massimo di quattro parole e conservano la componente semantica andando a lavorare sulle variazioni della sintassi. Questo nuovo passaggio è formato da cinque step: nel primo si vedrà la partecipazione del paziente solo nel movimento di tapping, mentre il terapista mostrerà prima a bocca chiusa e poi con le parole l’item da intonare; nel secondo, terapista e paziente intoneranno all’unisono l’item (senza restrizioni sul numero di ripetizioni necessarie); nel terzo si parte dall’intonazione all’unisono fino ad arrivare alla produzione autonoma del paziente in quanto la voce del terapista andrà a dissolversi; nel quarto step il terapista presenta l’item e il paziente dovrà ripeterlo da solo; nel quinto ed ultimo step il terapista intona una domanda contenente parti dell’item affrontato e richiede al paziente una risposta.

Nel terzo livello la difficoltà passa dall’essere bassa all’essere media ed è composto da quattro step: nel primo il terapista intona l’item per due volte chiedendo al paziente di ascoltare e di battere la mano a tempo con lui; nel secondo vi è l’intonazione all’unisono dell’item con la dissolvenza della voce del terapista; nel terzo step il paziente deve ripetere l’item da solo dopo la presentazione effettuata dal terapista (da questo step in poi il paziente avrà l’opportunità di tornare agli step precedenti in caso di difficoltà), nel quarto ed ultimo step il terapista intona una domanda contenente alcuni elementi della risposta (l’item trattato fino a quel momento) e chiede al paziente di rispondere.

Il quarto livello è il più difficile in quanto culmina con il ritorno alla normale prosodia della parola, è formato da cinque step: nel primo il terapista intona la frase item e chiede al paziente di ripeterla dopo qualche secondo, nel secondo il terapista presenta la frase in sprechgesang ed in seguito chiede al paziente di ripetere l’item all’unisono. Una volta che il paziente si è abituato a questo nuovo tipo di produzione vocale il terapista può diminuire il suo intervento facendo dissolvere pian piano la sua voce. Nel terzo step il terapista presenta l’item in sprechgesang muovendo la mano a ritmo e chiede al paziente di ripeterla qualche secondo dopo con tapping su base volontaria (non necessario); nel quarto step il terapista presenta la frase con una prosodia normale e chiede al paziente di ripeterla con qualche secondo di ritardo; nel quinto ed ultimo step il terapista presenta una domanda che contiene alcuni elementi dell’item e chiede al paziente di rispondere in modo appropriato (in questi ultimi due step non è presente il tapping con la mano sinistra) (Sparks e Holland 1976).

Il protocollo ha a disposizione del materiale cartaceo che rappresenta gli item per facilitare la produzione del paziente.

Quello che abbiamo appena osservato ci consente di affermare che la MIT può essere considerata una tecnica utile per la riabilitazione del paziente afasico non-fluente. I suoi effetti sono tangibili ma servono ulteriori studi per capire il perché. Sono stati molti i passi compiuti per l’affinamento delle tecniche e per la comprensione degli effetti della Melodic Intonation Therapy ma ad oggi i dubbi sono ancora molti. Gli studi di neuroimmagine esaminati fino ad ora non consentono di concludere nulla di certo sui correlati neurali della riabilitazione effettuata con questa tecnica. Il limite più grosso della ricerca in questo campo risiede nel fatto che la maggior parte degli studi sulla MIT non sono disegni di ricerca controllati e randomizzati, gli unici che potrebbero garantire l’affidabilità dei risultati ma che molto spesso non sono applicabili a causa della loro dispendiosità economica e temporale. L’eterogeneità, la scarsa numerosità dei campioni e la mancanza di un gruppo di controllo sono tra le cause principali della discordanza tra i risultati degli studi sulla Melodic Intonation Therapy. Un altro motivo che non consente di concludere qualcosa di certo sui meccanismi di questo training è anche l’ampia variazione delle tecniche utilizzate; non tutti i ricercatori, infatti, hanno seguito lo stesso protocollo. Sono molte le varianti della tecnica originale che sono state utilizzate per andare incontro alle più svariate esigenze (di ricerca, di popolazione…), la conseguenza è la presenza di molte versioni in letteratura non confrontabili tra loro a fini di ricerca. Anche gli stessi ricercatori sono a conoscenza dei limiti degli studi sulla Melodic Intonation Therapy ed infatti Zumbansen (2014a) consiglia, ad esempio, che potrebbe essere utile soffermarsi sulla differenza tra effetto facilitatorio ed effetto terapeutico dei vari elementi della MIT, mantenendo aperta la questione del ruolo delle varie componenti della tecnica. Gli studi futuri, oltre a far fronte alle problematiche dei disegni di ricerca e della variabilità degli approcci utilizzati nell’atto riabilitativo, dovranno dedicarsi allo studio di aspetti che vanno ulteriormente indagati. Uno tra questi potrebbe essere lo studio degli effetti della MIT sull’aprassia articolatoria, ambito ancora povero di indagini e quindi di indicazioni al trattamento, anche se i risultati per ora disponibili già fanno intuire qualcosa di positivo. L’indagine sulle tempistiche ideali per intervenire sul paziente è anch’esso un elemento chiave per il futuro, i nuovi studi, infatti, dovranno porre molta attenzione al tempo che intercorre tra l’ictus e la riabilitazione in quanto le fasi dello sviluppo della malattia differiscono molto a seconda che ci si trovi nella fase acuta, subacuta o cronica.


Demetra Piccardo
Musicoterapeuta - Psicologa



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